OpenEdition: origini e ragioni di una piattaforma
Biblioteche Oggi, rivista specializzata nell’informazione sul mondo bibliotecario e sui dibattiti che lo animano, ha dedicato il primo piano del suo numero di maggio 2016 al tema dell’accesso aperto. A fianco agli articoli di Angelo Ventriglia sull’esperienza del mock trial all’open access, proposto durante il Convegno delle Stelline di quest’anno, e di Nicola Cavalli sull’impatto editoriale dell’open access, ci è stato proposto di presentare l’esperienza di OpenEdition, la sua filosofia e il suo impegno nella valorizzazione della ricerca universitaria per gli ambiti delle materie umanistiche e delle scienze sociali e per la difesa dell’accesso aperto alla ricerca.
Con l’accordo di Biblioteche Oggi, proponiamo qui l’integralità dell’articolo.
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ABSTRACT
Le piattaforme di OpenEdition propongono soluzioni interoperabili e responsive ponendo la massima attenzione all’aggiornamento costante e all’appropriata strutturazione dei contenuti che vengono pubblicati: migliaia di libri e centinaia di riviste per rispettare e garantire la bibliodiversità negli ambiti delle discipline umanistiche e delle scienze sociali. L’articolo espone la genesi e i principi che guidano lo sviluppo di un’infrastruttura che, in diciassette anni, ha saputo farsi strada in ambito accademico e a fianco di tutti gli attori dell’editoria universitaria digitale: ricercatori, editori e bibliotecari. Bibliotecari a cui OpenEdition propone un’alleanza specifica per sviluppare un modello economico sostenibile in favore dell’Open Access.
Le origini di una piattaforma: Revues.org
Gli annunci e i blog: tra divulgazione e sperimentazione
I libri: il formato madre dell’editoria accademica trova il suo spazio online
Il senso di un’infrastruttura completa e i suoi assi di sviluppo
Il programma Freemium: una proposta di alleanza con le biblioteche
Le origini di una piattaforma: Revues.org
Diciassette anni fa, un giovane ricercatore – Marin Dacos – ha intuito che, se alcune riviste non erano visibili, era perché si trovavano disperse e, di conseguenza, non facilmente individuabili. Lui stesso era implicato nei comitati di due riviste di storia che, come molte altre, erano in una situazione di scarsa visibilità[1]: gli abbonamenti diminuivano e il lavoro scientifico era difficile da valorizzare. Dacos ha dapprima progettato uno e poi due siti web per queste riviste, ma si è ben presto reso conto che siti internet dispersi non avrebbero risolto il problema. Da questa osservazione è nata Revues.org, a cui oggi aderiscono più di 400 riviste.
Revues.org, combinata a Lodel – il programma di pubblicazione digitale della piattaforma – è stato il primo mattone di quella che oggi è OpenEdition, un’infrastruttura completa per l’edizione digitale, pensata per la diffusione della ricerca negli ambiti delle discipline umanistiche e delle scienze sociali e che comprende, oltre a Revues.org (dedicata alle riviste), una piattaforma dedicata agli annunci accademici (Calenda), una dedicata ai blog (Hypotheses.org) e un’ultima dedicata ai libri (OpenEdition Books). OpenEdition è parte attiva di Dariah (Digital Research Infrastructure for Arts and Humanities) – una cyber-infrastruttura europea che intende valorizzare e sostenere la ricerca negli ambiti delle discipline umanistiche e delle scienze sociali – ed è un progetto culturale di grande ambizione che raccoglie la sfida del multilinguismo della ricerca, sfida sintetizzata dal motto: “Capire il mondo, in tutte le sue lingue”.[2]
OpenEdition e le sue quattro piattaforme sono sviluppate da un centro interuniversitario: il Centre pour l’Edition électronique ouverte (Laboratorio per l’edizione digitale aperta – più conosciuto con l’acronimo Cléo)[3], che è guidato da quel giovane ricercatore di allora, oggi “ingeniéur de recherche” del CNRS. Proprio questa figura è importante per comprendere la nascita e gli scopi di OpenEdition: in effetti, all’ingénieur de recherche è istituzionalmente affidata la missione di sostenere la ricerca e proporre soluzioni adeguate ai suoi problemi specifici. Questo significa che le quattro piattaforme di OpenEdition sono nate e continuano a essere sviluppate a stretto contatto con le esigenze della ricerca accademica, con i ricercatori e con i bibliotecari, oltre che con gli editori specializzati nell’editoria universitaria. Nel rispetto di questa missione, Revues.org si impegna per la diffusione della letteratura accademica in accesso aperto facendo attenzione alla sostenibilità economica del lavoro editoriale: propone diversi modelli di politica editoriale, vari strumenti per la pubblicazione online e momenti di formazione specifica per l’uso di questi strumenti.
Le riviste sono accessibili attraverso un catalogo comune e sono consultabili attraverso un proprio spazio personalizzato e per tutte sono garantite la strutturazione dei contenuti, la citabilità degli articoli, la perennità dei dati, l’interoperabilità con altri sistemi (sia in uscita che in entrata), l’indicizzazione, l’accesso ai formati di lettura digitale, rispettando così i diversi pilastri che sostengono una buona edizione digitale[4]. Inoltre, attraverso le biblioteche e le istituzioni abbonate al programma OpenEdition Freemium for Journals, è possibile usufruire di servizi aggiuntivi, per esempio la lettura di formati specifici come PDF e ePub.
Le riviste aderenti si avvalgono di un comitato di lettura e/o mettono in pratica una procedura che garantisce la qualità delle pubblicazioni: per questo Revues.org si è dotata fin da subito di un Comitato scientifico che accompagni il progetto e faccia da garante per i contenuti che raggiungono la piattaforma. Oggi, tutte le piattaforme di OpenEdition sono supportate da un comitato che lavora in sinergia con i Comitati scientifici linguistici già costituiti (per l’Italia e la Germania e per i contenuti ispanofoni e anglofoni).
Gli annunci e i blog: tra divulgazione e sperimentazione
Un anno dopo Revues.org, ha visto la luce la seconda piattaforma di OpenEdition: Calenda. Dedicata all’attualità della ricerca nelle scienze umane e sociali, Calenda pubblica annunci di convegni, programmi di seminari, cicli di conferenze, offerte di lavoro e call for papers. Nel 2015 ha raggiunto la soglia dei trentamila annunci specializzati pubblicati. Ognuno di essi è indicizzato per categorie (discipline, lingue, località) ed è possibile estrarre dei criteri di ricerca per importare il flusso dei risultati in un sito terzo (per esempio, nella lista di annunci di un portale istituzionale).
Nel corso degli anni, poi, altri ingénieurs de recherche hanno raggiunto Dacos: tra questi Pierre Mounier, oggi vicedirettore del Cléo con delega allo sviluppo internazionale di OpenEdition e che ha avuto un ruolo importante nello sviluppo della terza arrivata tra le piattaforme di OpenEdition: Hypotheses.org. Questa piattaforma ospita vari tipi di blog, personali o collettivi, animati da ricercatori, bibliotecari[5] o da personale tecnico-amministrativo delle università, che trattano di ricerche sul campo, di seminari, di aggiornamento e informazione, ecc. Si basa su WordPress e l’adesione è gratuita, come per tutte le piattaforme di OpenEdition.
Anche nel caso di Hypotheses.org, la dimensione internazionale è centrale: i blogger pubblicano in lingue differenti e le comunità linguistiche principali (per ora Francia, Germania e Spagna) hanno i propri strumenti di discussione e un comitato scientifico dedicato, oltre a un portale specifico che valorizzi i post pubblicati nelle rispettive lingue. Uno degli scopi del progetto OpenEdition Italia è proprio quello di accompagnare la formazione di una comunità linguistica di blogger italiani su Hypotheses.org.
La piattaforma sta per raggiungere la soglia dei 1500 blog di ricerca, un traguardo su cui in pochi avrebbero scommesso quando il portale è nato, nel 2009. Il desiderio alla base di Hypotheses.org era quello di aprire la comunicazione della ricerca ad altre modalità di comunicazione accademica, rendere disponibile uno spazio in cui alcune delle fasi del work in progress che precede i prodotti editoriali finiti possa essere reso visibile, condivisibile, commentabile, migliorabile collettivamente attraverso il confronto con i pari.
Nell’ottica di Hypotheses.org, i blog accademici non sono in alcun modo antagonisti con le altre forme di pubblicazione accademica come le riviste, le miscellanee e le monografie, ma si propongono come uno strumento complementare di comunicazione scientifica, le cui caratteristiche sono appunto l’apertura e il dialogo tra pari, attraverso i commenti. Questa modalità di comunicazione che si situa all’intersezione tra scritto e orale e tra pubblico e privato[6] è stata definita da André Gunthert – tra i primi ad aver mobilitato, in Francia, lo strumento blog per scopi di ricerca – un “seminario permanente”[7]. Lontani da un’immagine superficiale che li vede come un soliloquio isolato, i blog di ricerca di Hypotheses.org vanno compresi in rete, attraverso le relazioni che creano e le loro comunicazioni incrociate[8].
La complementarità tra i blog e le altre forme di pubblicazione è dimostrata da diversi progetti. Per fare solo pochi esempi: la rivista Digital Humanities Now pubblica solo articoli tratti da post di blog che sono stati selezionati dalla redazione; i volumi collettanei “Lieux de Savoir”, editi da Albin Michel e curati dallo storico Christian Jacob, sono accompagnati da un blog che permette di continuare in questo spazio le discussioni sui contenuti dei testi; “Chroniques d’une transition”, della ricercatrice Kmar Bendana, sulla rivoluzione tunisina, è un libro nato dai confronti e commenti resi possibili dalla pubblicazione delle riflessioni dell’autrice nel blog HCTC, Histoire et culture dans la Tunisie contemporaine[9]. Tutti questi esempi mostrano come la ricerca accada nei blog, come ha potuto scrivere Jill Walker, tra i primi a dedicare ai blog una riflessione scientifica[10]. Anche Antonio Casilli, nel descrivere la ricerca che ha condotto con Paola Tubaro sulle manifestazioni che si sono susseguite in Gran Bretagna tra il 6 e il 10 agosto 2011, precisa: “Non ci ritroviamo più in una semplice situazione di divulgazione della ricerca, nella misura in cui il blog, che non viene aperto né a monte della ricerca né a valle, accompagna la ricerca nel momento in cui si sta svolgendo. La condiziona, anche, in un modo più complesso che secondo quello schema univoco per cui gli strumenti digitali implicherebbero automaticamente dei cambiamenti”[11].
Infine, sempre a proposito della complementarità possibile tra le diverse forme di pubblicazione accademica, si pensi alla recente sperimentazione sull’open peer review realizzata da OpenEdition con la rivista canadese Vertigo e il consorzio Couperin[12] nell’ambito del progetto europeo OpenAIRE2020. Partendo dall’assunto che la valutazione dovrebbe essere un modo per migliorare i testi collaborativamente e per orientare qualitativamente i comitati di redazione, l’open peer review implica che i rapporti di valutazione siano pubblicati, accessibili, firmati e che autore dell’articolo e valutatore possano scambiare commenti riguardo alle valutazioni stesse. Rendere questo momento aperto permette anche di ristabilire una dimensione di reciprocità alla procedura e una migliore considerazione della legittimità dei protagonisti (autori e valutatori). Le nuove forme di pubblicazione digitale si prestano a immaginare e sperimentare una tale apertura, peraltro coerente con le prospettive definite dalla Dichiarazione di Berlino del 2003, che richiama alla necessità di rendere pubblico tutto il lavoro di ricerca o almeno una sua parte[13].
I libri: il formato madre dell’editoria accademica trova il suo spazio online
Dopo le riviste, gli annunci e i blog, non poteva mancare uno spazio dedicato alla più complessa e alla più centrale delle forme di pubblicazione accademica negli ambiti delle discipline umanistiche e delle scienze sociali: il libro, sia esso monografia o miscellanea. OpenEdition Books è nata per questo, nel 2013, e ad appena tre anni dal suo lancio, sfiora oggi la soglia dei 2700 libri proposti da 50 editori, di cui più di un quarto non francesi. Quasi l’80% dei contenuti sono proposti in Open Access, e l’ambizione è proprio quella di offrire una biblioteca internazionale per le discipline umanistiche e le scienze sociali, stimolando gli editori ad aderire nel lungo termine alla politica dell’accesso aperto.
OpenEdition Books si fonda sui principi comuni alle altre piattaforme: l’adesione gratuita, la non-esclusività e la garanzia sulla qualità dei titoli verificata dai comitati scientifici linguistici. Per accompagnare la transizione verso il nuovo modello di diffusione, gli editori sono invitati a diffondere in accesso aperto (integrale o “Freemium”) almeno il 50% dei libri che propongono alla piattaforma: come detto poco sopra, gli editori aderenti sono andati ben oltre la richiesta iniziale, sfiorando la soglia dell’80%. I loro contenuti vengono commercializzati presso le biblioteche di tutto il mondo oltre che su centinaia di store online, sono conformi agli standard più recenti (diversi formati di metadati: ONIX, MARC 21, converage list, tra cui il formato Kbart, …) e compatibili con i protocolli più diffusi (OAI-PMH, OPDS, …). I ricavi della commercializzazione presso le biblioteche vengono distribuiti agli editori per il 66%, mentre questi ricevono il 50% dei ricavi dalle vendite negli store online. Il prezzo di base delle opere viene stabilito dall’editore.
OpenEdition Books prevede anche un programma di sostegno che permette agli editori di richiedere la digitalizzazione di alcune opere di particolare interesse, sia partendo dalla versione cartacea che dai file PDF.
Il senso di un’infrastruttura completa e i suoi assi di sviluppo
In un itinerario fatto di inventività sostenuta da un solido spirito di ricerca e dalla volontà di rinnovamento, con OpenEdition si intende promuovere l’idea di una comunicazione scientifica integrata, non costituita da silos indipendenti e alimentati ognuno per conto suo, ma organizzata come un sistema di vasi comunicanti. La già citata sperimentazione interpiattaforma sull’open peer review ne è un esempio. Un altro è lo sviluppo, da parte dell’OpenEdition Lab (branca di ricerca e sviluppo del Cléo), di Bilbo, uno strumento di annotazione automatica dei riferimenti bibliografici.[14] In concreto, Bilbo permette di riconoscere automaticamente i riferimenti bibliografici presenti sulle piattaforme, interrogare la base di Crossref, ad esempio, e completare i riferimenti inserendo il DOI (Digital Objetct Identifier) attribuito all’articolo: seguendo il link riferito al DOI, si ha accesso diretto al riferimento citato.
OpenEdition non è quindi un semplice “cappello” per quattro piattaforme distinte, ma un’infrastruttura integrata con lo scopo di far interagire le diverse forme di comunicazione accademica. Le sue quattro piattaforme intendono essere complementari e servire tutte, nel loro ambito specifico, alla produzione e alla disseminazione della ricerca accademica, rispettando le particolarità specifiche delle discipline umanistiche e delle scienze sociali.
La valorizzazione della ricerca per queste discipline passa per la creazione stessa dei quattro portali, il cui scopo primo è la diffusione di questi specifici ambiti di ricerca, con modalità rispettose della loro specificità, senza l’applicazione acritica di modelli mutuati dalle scienze dette “dure”. Gli altri progetti sviluppati dall’OpenEdition Lab, non fanno che confermare questo scopo: Agoraweb vuole permettere di individuare delle recensioni di libri attraverso un’analisi del web, con l’idea di aggregare le recensioni che concernono una stessa opera che sta creando dibattito; Intertextes è invece un progetto che, attraverso un sistema di suggerimenti di lettura che si basano sulle relazioni tra i documenti (riferimenti bibliografici, lingua, citazioni, …), intende valorizzazione dei contenuti scientifici digitali negli ambiti delle discipline umanistiche e delle scienze sociali.[15]
Come dimostrano gli ultimi esempi, la costruzione di questa infrastruttura completa ha accompagnato e accompagna tre grandi battaglie in cui OpenEdition è in prima linea: oltre alla ricerca di un modello sostenibile per la diffusione della ricerca in Open Access, sono altrettanto centrali anche lo sviluppo delle digital humanities e la valorizzazione della ricerca specifica per le discipline umanistiche e le scienze sociali.
Abbiamo già considerato la valorizzazione della ricerca. Se ci soffermiamo brevemente sulle digital humanities, vediamo come siano intese come un processo che non ha a che fare solo con la tecnologia, ma che interroga piuttosto il nostro rapporto con il sapere, dietro al quale diverse sono le sfide civili da affrontare. Lungi dall’essere una tecnicizzazione tardiva delle discipline umanistiche, che da tempo usano strumenti come archivi, carte, schede, registrazioni audio o video, foto e così via, la specificità delle digital humanities va trovata piuttosto nella “necessaria attività interpretativa” sui dati[16]. L’informatica, negli ultimi decenni, non ha stravolto solo le discipline umanistiche, ma tutte le discipline. In questo contesto non sembra alieno né alienante pensare che il digitale, oltre a implicare un guadagno in termini di produttività possibile, imponga anche di reinventare la funzione editoriale[17] e le modalità di diffusione della ricerca.
Tornando infine sulla battaglia per l’accesso aperto alla ricerca, nella filosofia di OpenEdition, questa non si fa “contro” gli editori, ma insieme a loro, contro un’idea di editoria in cui pochi editori egemoni hanno tutto da vincere, e i ricercatori, i lettori, i piccoli e medi editori hanno tutto da perdere. È una battaglia a favore della libera diffusione di una ricerca di qualità e non contro le competenze e specificità professionali dei mestieri dell’editoria. OpenEdition non opera nemmeno in antagonismo con i depositi istituzionali, strumento complementare sia dal punto di vista degli usi che dei servizi.[18]
OpenEdition è nel campo di coloro che credono che con il digitale si sia entrati in un’era nuova, in cui il libro così come lo conosciamo subirà delle necessarie trasformazioni. In questa ottica, è chiara anche la scelta dell’edizione digitale, anziché della riproduzione digitale di un supporto cartaceo. Una scelta, la seconda, intrapresa da portali come JSTOR o Persée, mentre la strada dell’edizione digitale caratterizza, oltre a Revues.org e OpenEdition Books, anche Scielo, Elsevier, Springer e Cairn.
Il programma Freemium: una proposta di alleanza con le biblioteche
Sempre nell’ottica di fornire degli strumenti per accompagnare redazioni ed editori nella transizione verso il digitale, OpenEdition ha pensato a un modello economico di sostegno all’Open Access che coinvolga pienamente un altro attore principale della valorizzazione e diffusione della ricerca: i bibliotecari, che svolgono un ruolo di mediazione essenziale per la diffusione dei contenuti accademici[19].
Parlando di strumenti, OpenEdition non si pone in prima istanza come un centro servizi a cui gli editori mandano i testi perché il portale li metta online o li aggreghi per loro conto, ma intende sviluppare una pratica sostenibile per l’Open Access, una pratica che, per funzionare completamente, ha bisogno del sostegno delle biblioteche, mediatori indispensabili nell’ecosistema dell’editoria digitale accademica. Questa idea tiene conto del fatto che il circuito della pubblicazione scientifica conta tre attori: i ricercatori, gli editori e le biblioteche. Perché il sistema funzioni è necessaria un’interdipendenza tra i tre[20].
La proposta di base è quella di proporre un testo in Open Access e di offrire, come complemento, delle funzionalità avanzate a pagamento. Quello che si vende, quindi, non è il contenuto ma il servizio associato: con il programma “Freemium”[21] di OpenEdition, gli editori possono scegliere di diffondere i propri contenuti in accesso aperto Freemium (PDF e ePub a pagamento, HTML in Open Access), appunto. Una modalità che si affianca alla possibilità di diffondere in accesso riservato (i tre formati PDF, ePub e HTML saranno a pagamento)[22] o ancora in Full Open Access (PDF, ePub e HTML tutti in accesso aperto).
Per le biblioteche, il Freemium si traduce in due offerte complementari: OpenEdition Freemium for Books, dedicata ai libri (propone due modalità di acquisto – titoli singoli o pacchetti di titoli – a cui possono essere applicate due licenze d’uso – acquisto annuale o perenne) e OpenEdition Freemium for Journals, dedicata alle riviste (abbonamento annuale a un pacchetto di riviste che copre i diversi ambiti di ricerca). In entrambi i casi ai contenuti acquistati non sono applicati DRM (Digital right management), né esiste un limite nel numero di download possibili. Entrambe le offerte permettono quindi alle biblioteche di portare avanti una politica di acquisizione che segua una logica di sviluppo sostenibile dell’Open Access, nel rispetto delle pratiche di insegnamento, di ricerca e di apprendimento specifici per le discipline umanistiche e le scienze sociali e nel rispetto del loro multilinguismo proprio. Per testare il servizio, le biblioteche possono fare domanda per un periodo di test di tre mesi[23].
In queste offerte sono inclusi, per le biblioteche, ulteriori servizi dedicati a pagamento, come l’accesso ai record Marc del catalogo o alle statistiche d’uso normalizzate secondo il formato Counter[24], un sistema di notifiche illimitate per i propri utenti, documentazione e formazioni dedicate, e molto altro ancora. La piattaforma trattiene il 33% dei ricavi generati, per reinvestirli nello sviluppo di nuovi servizi per le biblioteche, e versa il 66% agli editori che forniscono le pubblicazioni. Il 100% dei ricavi è quindi reinvestito per la promozione dell’accesso aperto.[25] Oggi sono 132 le biblioteche abbonate[26], a dimostrazione del fatto che il programma Freemium risulta davvero economicamente sostenibile e permette alle biblioteche di favorire (e investire) in un modello alternativo di collaborazione con gli editori in favore dell’Open Access.
Se OpenEdition promuove questo tipo di programmi, è perché crede che l’accesso aperto sarà un successo per i prodotti editoriali solo se non danneggia la cooperazione tra editori e bibliotecari per la diffusione della conoscenza. Ed è importante essere particolarmente attenti nel preservare il ruolo delle biblioteche e dei bibliotecari, perché sono indubbiamente i più competenti nel concepire collezioni di risorse adatte alle comunità locali a cui propongono i propri servizi. È per questo che il finanziamento delle politiche Open Access non deve avvenire a scapito dei budget destinati alle biblioteche: la loro marginalizzazione finirebbe per andare a beneficio di altri attori che non avranno la stessa visione, né la stessa esperienza, dei bisogni dei lettori.
OpenEdition, quindi, non è solo un’“infrastruttura completa” perché valorizza e offre strumenti per le principali forme di pubblicazione che un contenuto accademico può assumere, ma è completa anche perché, nel suo sviluppo, si impegna a considerare e a farsi carico delle problematiche centrali della ricerca. E il mondo accademico stesso è considerato nel suo insieme: non sono valorizzate solo le fasce più “alte” e visibili della ricerca, ma anche le biblioteche, elementi essenziali per la disseminazione e la valorizzazione dei contenuti prodotti e che ancora troppo spesso sono invece considerate accessorie.
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[1] Marin Dacos, Les humanités numériques, CNRS, 2010, [online], http://www.cnrs.fr/fr/recherche/prix/docs/cristal2010/DacosM.pdf
[2] Altri esempi della dimensione internazionale di OpenEdition sono, oltre a Dariah, anche il progetto Operas, che comprende sedici partner europei tra cui la CRUI, il CNR e le università di Torino, Napoli e Venezia (operas.hypotheses.org); le collaborazioni di lunga data con la Max Weber Stiftung (Germania) e l’UNED (Spagna); i progetti OpenEdition Italia (openeditionitalia.it) e Lusopenedition (lusopenedition.org).
[3] Il Cléo è sostenuto da quattro istituzioni di ricerca: il CNRS – centro nazionale della ricerca francese, l’Ecole des hautes études en sciences sociales (EHESS), università dedicata alle discipline umanistiche e alle scienze sociali con sedi a Parigi e Marsiglia, l’Università di Aix-Marseille e l’Università di Avignone.
[4] Pierre Mounier e Marin Dacos, L’édition électronique, Paris, La Découverte, 2010, p. 108‑113. Sempre nell’ottica di costruire degli strumenti adeguati alle esigenze della ricerca per le scienze umane e sociali, OpenEdition ha sviluppato uno schema di codifica TEI (Text Encoding Initiative) adatto alle riviste e ai libri, e lo ha fatto in collaborazione con l’AEDRES, l’associazione delle case editrici universitarie francesi. Questa scelta permette a lungo termine l’interoperabilità con gli altri schemi TEI, permettendo per esempio di integrare delle fonti esterne ai contenuti pubblicati.
[5] Tra i blogger attivi su Hypotheses.org segnaliamo Elena Franchini, della Biblioteca di Filosofia e Storia dell’università di Pisa, pioniera in Italia per essere stata tra i primi a sperimentare il blog come strumento di comunicazione accademica, e prima italiana ad aderire a Hypotheses.org (Cfr. Alessia Smaniotto e Elena Franchini, Filosofia&Storia: dal 2007, risorse per la ricerca in modalità “Open”, 19 ottobre 2015, openeditionitalia.it, [online] http://openeditionitalia.it/636). Altri blog animati da bibliotecari e presenti su Hypotheses.org si concentrano sulla valorizzazione del proprio catalogo e delle nuove acquisizioni o si interrogano sulla professione e le sue evoluzioni.
[6] P. Mounier e M. Dacos, L’édition électronique, op. cit., p.100.
[7] Cfr. André Gunthert, “Why Blog?”, in Marin Dacos (a cura di), Read/Write Book : Le livre inscriptible, Marseille, OpenEdition Press, 2010, p. 167-171. Disponibile online: http://books.openedition.org/oep/174
[8] P. Mounier e M. Dacos, L’édition électronique, op. cit., p.101.
[9] Kmar Bendana, “Un an et après?”, in HCTC, Histoire et culture dans la Tunisie contemporaine, 17 dicembre 2011, [online] https://hctc.hypotheses.org/103
[10] Jill Walker Rettberg, Not Documenting, Doing, jill/txt, 06 giugno 2003, [online] http://jilltxt.net/archives/blog_theorising/not_documenting_doing.html
[11] Antonio Casilli, “Comment les usages numériques transforment-ils les sciences sociales?”, in Pierre Mounier (a cura di), Read/Write Book 2 : Une introduction aux humanités numériques, Marseille, OpenEdition Press, 2012, p. 246‑247. Disponibile online: http://books.openedition.org/oep/286. La ricerca, dopo essere stata pubblicata prima sul blog, poi su un archivio aperto (SSRN eLibrary), è stata pubblicata infine in una rivista a comitato di lettura: Cfr. Antonio A. Casilli e Paola Tubaro, “Social Media Censorship in Times of Political Unrest: a Social Simulation Experiments on the UK Riots”, Bulletin of Sociological Methodology, vol. 115, n°1, 2012, p.5-20.
[12] Associazione pubblica dedicata alla valorizzazione delle risorse documentarie digitali (Cfr. www.couperin.org)
[13] Julien Bordier, Évaluation ouverte par les pairs: de l’expérimentation à la modélisation. Récit d’une expérience d’évaluation ouverte par les pairs, 2016, [online] https://hal-paris1.archives-ouvertes.fr/hal-01283582v1, rapporto per OpenAIRE 2020
[14] Bilbo è sviluppato nell’ambito del programma di ricerca “Robust and Language Independent Machine Learning Approaches for Automatic Annotation of Bibliographical References in DH Books, Articles and Blogs”, cominciato nel 2011 grazie all’ottenimento di un Google Grant for Digital Humanities e diretto da Patrice Bellot e Marin Dacos. Lo sviluppo di Bilbo è garantito dalla cooperazione tra il LIA (Laboratorio di informatica dell’Università di Avignone), il LSIS (Laboratoire de Sciences de l’information et des Systèmes dell’Università di Aix-Marseille e del CNRS) e il Cléo.
[15] Ulteriori informazioni su Bilbo, Agoraweb e Intertextes si trovano nel blog di ricerca dell’OpenEdition Lab: lab.hypotheses.org
[16] Pierre Mounier (a cura di), Read/Write Book 2 : Une introduction aux humanités numériques, Marseille, OpenEdition Press, 2012, p.12 e 16. Tra le diverse attività di sostegno allo sviluppo dell’umanistica digitale in Francia, OpenEdition ha coordinato anche la redazione del primo Manifesto delle Digital Humanities francese, riunendo nel maggio 2010, a Parigi, un centinaio di ricercatori per riflettere sulle sfide che l’avvento del digitale pone alle condizioni di produzione e diffusione del sapere (Cfr. Pierre Mounier, “Manifeste des Digital Humanities”, Journal des anthropologues, 2010, [online] http://jda.revues.org/3652 . Il Manifesto è stato poi tradotto in una ventina di lingue, compreso l’italiano.
[17] Ibid., p. 11.
[18] Marin Dacos e Claire Lemercier, Pourquoi il faut distinguer clairement les archives ouvertes et l’édition électronique ouverte, [online] http://leo.hypotheses.org/12523. L’esempio di ArXiv, con 24 anni di storia, ha dimostrato che l’esistenza di un repository in accesso aperto non implica necessariamente la scomparsa delle riviste e delle altre forme di pubblicazione accademica, che hanno come caratteristica la strutturazione dei contenuti (in numeri, dossier tematici, progetti editoriali, …) orientata verso un preciso orizzonte di visibilità dei contenuti.
[19] Emma Bester e Pierre Mounier, Usages des ressources en libre accès dans les bibliothèques universitaires et services communs de documentation. Le cas de Revues.org, 2009, [online] https://hal.archives-ouvertes.fr/sic_00627672
[20] Ibid
[21] Il Freemium è un modello economico diffuso nell’ambito dell’industria digitale e consiste appunto nel fornire accesso gratuito a un certo numero di servizi, mentre altri sono proposti a pagamento (Premium): l’obiettivo è di assicurare l’equilibrio economico dell’impresa.
[22] Su OpenEdition Books, gli editori hanno fatto questa scelta solo per il 20% dei contenuti. L’invito fatto agli editori è in fondo quello di diversificare le loro fonti di guadagno, perché questa risulta essere la chiave per lo sviluppo dell’Open Access: non solo finanziamenti esterni, quindi, ma anche la proposta del print on demand, la vendita di servizi premium (come quelli proposti nel programma Freemium), il crowdfunding, il supporto delle istituzioni accademiche (OpenEdition è un esempio di supporto di questo tipo), ecc…
[23] Questo periodo di test, gratuito, può essere richiesto scrivendo a access@openedition.org.
[24] La compatibilità con le statistiche Counter è un’ulteriore dimostrazione dell’attenzione portata da OpenEdition alle esigenze di tutti gli attori della diffusione della ricerca. Nello studio fatto nel 2009 da Emma Bester sull’uso delle risorse in Open Access da parte delle biblioteche (Cfr. E. Bester e P. Mounier, Usages des ressources en libre accès dans les bibliothèques universitaires et services communs de documentation. Le cas de Revues.org, op. cit.) è stata messa chiaramente in evidenza la necessità di permettere ai bibliotecari di inserire tali risorse nel loro flusso normale di lavoro, in modo da farle entrare nelle valutazioni e statistiche d’uso e renderle parte integrante delle politiche di acquisizione. È anche per questo che OpenEdition punta sull’integrazione delle biblioteche nelle logiche editoriali di produzione delle risorse in Open Access, perché possano immaginare servizi documentari associati coerenti con la loro missione.
[25] Per dare qualche cifra concreta: la cifra d’affari cumulata dal 2012 ad oggi ammonta a più di un milione di euro, di cui 680.000 euro sono stati redistribuiti ad editori e riviste e circa 340.000 euro sono stati reinvestiti da OpenEdition per lo sviluppo dell’Open Access.
[26] Tra di esse si possono segnalare, solo per fare qualche esempio: Berkeley, Stanford e Yale negli Stati Uniti, l’Istituto Universitario Europeo in Italia, Science Po in Francia, l’università di Stoccolma, l’UQAM in Canada, l’Université Libre di Bruxelles, il consorzio delle biblioteche accademiche del Congo.