Un taccuino di ricerca per appunti di viaggio tra il medioevo e la cultura digitale
Enrica Salvatori, oggi professore associato di Storia Medievale all’Università di Pisa, docente del corso di Informatica Umanistica nella medesima università e direttrice del Laboratorio di Cultura Digitale, è stata tra i primi ricercatori ad aprire un taccuino di ricerca in italiano su Hypotheses.org, ed è oggi anche membro del Comitato scientifico di OpenEdition Italia, che ha il compito di definire l’orientamento generale del progetto in collaborazione con il Comitato scientifico di OpenEdition. Le abbiamo chiesto, per via epistolare, di ritracciare per noi il percorso che l’ha portata a condividere le sue ricerche in un mezzo come il blog.
Come ha conosciuto Hypotheses.org?
Ero già abbonata alla mailinglist di OpenEdition e quindi in qualche modo vicina alla filosofia dell’iniziativa. Mi parlò in particolare del blog accademico un collega dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze (Serge Noiret) e con lui organizzammo nel 2013 la presentazione di Hypotheses.org a Pisa, nel ciclo dei Seminari di Cultura Digitale che facciamo ogni anno. Proprio nel corso di quel seminario mi convinsi a costruire il mio primo blog accademico.
Com’è nato il progetto di blog?
Come è mia abitudine ho provato subito a sperimentare. In quel periodo avevo in corso una ricerca rilevante e impegnativa che analizzava i modi di datazione delle pergamene del Midi, in particolare di quelle marsigliesi. Ho pensato di pubblicare su un blog, L’arte di verificare le date (Artdates), l’avanzamento dei lavori e in due lingue. Ogni post era quindi scritto sia in italiano che in francese, in modo da riuscire a intercettare tutti i possibili interessati. Ora la ricerca è chiusa e il blog sarebbe da sistemare con una nuova grafica, dato che nel frattempo è stato cambiato il tema wordpress di base. Spero di farlo presto. L’esperimento è stato certo interessante, ma alla fine non del tutto soddisfacente. Il problema è che nella lettura di una ricerca si inizia al leggere dal principio, mentre la pubblicazione in un blog privilegia sempre l’ultimo post. In Artdates, per comprendere l’evolversi della ricerca, i post dovrebbero essere letti secondo un ordine inverso rispetto a quello esistente oppure dovrebbe essere creato a parte un apposito indice. In conclusione non so quanto la piattaforma sia effettivamente adatta per “pubblicare” in maniera semi-definitiva un’indagine di ambito umanistico, quanto invece – dando per scontata una base comune di conoscenza tra chi legge – per aggiornare in forma non lineare e non progressiva dell’andamento di una ricerca.
Dopo Artdates è nato il mio blog personale costruito per poter raccogliere materiali di vario genere sulle mie ricerche e avere uno spazio di espressione meno formale, ma comunque scientifico, sulle materie che mi interessano. Quest’ultimo blog continua a vivere e ho tutte le intenzioni di a mantenerlo.
Ci sono altri blog di riviste, su Hypotheses o no, che hanno ispirato e ispirano il vostro progetto?
Quando ho costruito i miei blog ne ho visionare molte, per ispirarmi in quanto a grafica e a strumenti utilizzati (plugin) per l’interazione con gli utenti.
Vuole dirmi qualcosa in più sul percorso che l’ha portata verso le Digital Humanities?
Percorso lungo. Mi sono laureata nel 1989 quando cominciavano oramai ad essere abbastanza diffusi (ma non molto) i PC e ai miei genitori ho chiesto come regalo di laurea un computer da tavolo, un IBM assemblato, enorme, grigio e con i floppy disk. Contemporaneamente seguii un corso di programmazione in linguaggio basic. Non so perché, ma evidentemente annusai l’aria che cambiava e mi gettai a capofitto nel mutamento in atto. Le cose hanno poi cominciato a evolvere rapidamente ed io con loro (per fortuna): quindi telnet, i primi repository di fonti su web, in cui pubblicai il mio “giuramento di 4300 Pisani del 1228” – esiste ancora, è su Eurodocs -, l’attività di collaboratrice e redattrice di Reti Medievali, Iniziative on line per gli studi medievistici. E poi sono arrivate le pubblicazioni di materiali didattici sul sito personale, le registrazioni audio e audio video di lezioni e la creazione di Historycast, il primo posdcast indipendente di Storia in Italia.
La mia predilezione per le Digital Humanities, da un lato mi ha isolato dai colleghi di Storia Medievale di Pisa, che non hanno capito né particolarmente apprezzato la mia scelta, dall’altro mi ha però messo in luce presso altri studiosi, tanto che all’inizio del nuovo secolo (2002) mi è stato chiesto di entrare tra i docenti garanti (quindi stabili) di un nuovo corso di laurea, Informatica Umanistica, che oggi si è consolidato ed ha un successo indubbio.
All’interno del corso di laurea si sono poi moltiplicati i progetti di Digital Humanities, sia nell’ambito della grafica 3d, che nella codifica dei testi, nell’editoria elettronica come nel podcasting e ancora stanno germogliando molte nuove idee. Tale attività ha portato alla fondazione di un centro interdipartimentale (Laboratorio di Cultura Digitale) di cui sono attualmente il direttore.
Nel corso del tempo mi si è rafforzata l’idea che le Digital Humanities siano un settore estremente promettente e potenzialmente rivoluzionario per la cultura e la didattica. Infatti sul tema ho scritto alcuni interventi appunto sul mio blog tesi a sottolineare le “novità” proprie della cultura digitale rispetto al mondo tradizionale delle Scienze Umane (“L’identità dell’Informatico Umanista e la visione sistemica“, “Il patrimonio genetico della storia digitale (e le nostre paure)“). All’interno di questo mondo assai complesso e articolato sono particolarmente interessata all’uso del digitale nel mestiere di storico e alle opportunità che questo comporta nel disegnare la figura del digital public historian.
Il posto che per lei dovrebbe avere il blogging tra i diversi strumenti per la comunicazione accademica?
Dovrebbe e potrebbe avere uno spazio maggiore, a patto che si riesca a fare vera rete tra gli studiosi. Ad esempio se le pagine personali dei docenti di un dipartimento fossero pensate come blog e fossero connesse tra loro sarebbe estremamente più facile costruire progetti comuni, perché sarebbe agevolata la comunicazione reciproca sulle varie ricerche. Allo stesso modo il discorso vale per ambiti disciplinari e interdisciplinari. Quindi il blogging accademico andrebbe incentivato, ma solo all’interno di consorzi (come Hypotheses.org appunto). Ci sono indubbiamente alcuni ostacoli che frenano questo sviluppo:
1) per chi già fa uso dei vari social network e tool per la navigazione intelligente (feed rss, mailing list) l’overload di informazioni e di stimoli è diventato quasi insostenibile, tanto da non raggiungere spesso lo scopo prefisso; altri blog o reti di blog sarebbero forse percepiti come ulteriori carichi di lavoro sia per leggere sia per scrivere dati.
2) per chi invece è legato alle forme di comunicazioni tradizionali e consolidate è difficile accettare la validità di un luogo di libera comunicazione, pur se in mano ad addetti alla ricerca. Si deve però notare che questa caratteristica è tipica di un social network (Academia.edu) che, nonostante la quasi totale mancanza di filtri, sta avendo un successo inaspettato e sta di fatto obliterando i canali ufficiali della comunicazione scientifica in rete (depositi istituzionali, disciplinari e riviste).
La sua esperienza del blogging corrisponde, e in cosa, alle sue eventuali attese nei confronti dello strumento?
Sì, direi che corrisponde, nei limiti che ho già espresso sopra. Avendo più tempo per scrivere sul mio blog e leggere altri blog probabilmente ne riceverei ancora maggiore soddisfazione.