Sul futuro dei bibliotecari universitari
Intervista con Anna Maria Tammaro, docente di editoria digitale all’Università di Parma, coordinatrice del Master internazionale Digital Library Learning, membro di IFLA e EUCLID, vice-presidente della Sezione Toscana dell’AIB.
Come cambia la missione delle biblioteche nel nuovo ecosistema delle pubblicazioni digitali?
In un rapporto redatto dalla Commissione nazionale biblioteche delle università (CNUR) dell’AIB viene evidenziato come finora le biblioteche, nel processo editoriale, siano sempre venute dopo gli editori, per raccogliere quello che gli editori avevano realizzato. In questa nuova fase l’obiettivo è quello di estendere il loro ruolo alla creazione delle pubblicazioni, prendendo atto che gli utenti delle biblioteche non sono solo lettori, ma anche creatori di queste stesse pubblicazioni. Questo punto non è però chiaro a tutti e certamente bisogna tener conto delle diverse professionalizzazioni: un bibliotecario che non sia adeguatamente preparato non può essere maggiormente coinvolto nella ricerca, servono quindi nuove competenze. All’incontro di Firenze, dal pubblico è stato detto che i bibliotecari non hanno né le competenze tecnologiche né quelle della ricerca, e certamente è necessario, nella nuova visione della missione delle biblioteche, che i bibliotecari siano a conoscenza di come è organizzata la comunicazione scientifica, devono sapere che ogni disciplina ha i propri criteri di valutazione e i propri metodi di ricerca e devono essere competenti nelle materie di cui gestiscono le risorse. Il nuovo bibliotecario dovrebbe quindi essere sicuramente un bibliografo coinvolto nelle metodologie di ricerca e, naturalmente, essere anche aggiornato sulle tecniche di web publishing e avere solide basi di scienze dell’informazione e biblioteconomia. Le biblioteche oggi possono fare molte cose, ma più in potenza che in pratica. In pratica la realtà è molto frammentata.
Le singole biblioteche come si posizionano rispetto all’idea della loro missione che l’AIB porta avanti?
Non essendoci un orientamento preciso, dipende dalle persone. Il punto sta nel fatto che per questo nuovo ruolo dei bibliotecari non c’è un mandato del rettore, è il bibliotecario competente che si offre, va dai docenti e spiega cosa può fare per loro, per rendere più visibile la loro ricerca. Sono i casi di Torino, Firenze, Napoli e Milano. In Italia non esiste un ruolo definito e riconosciuto come in Francia può essere quello dell’ingénieur de recherche: le figure che offrono dei servizi alla ricerca hanno o un ruolo tecnico, e sono quindi informatici formati al di fuori delle scienze umane, o un ruolo amministrativo o, infine, sono dei bibliotecari. E la particolarità dei bibliotecari è che conoscono il ciclo delle pubblicazioni e sanno come si fa ricerca. Ma quando dico le biblioteche si devono occupare del ciclo editoriale, comunque, intendo dire che se ne devono occupare insieme ai centri di ricerca e ai centri di calcolo, ognuno con le proprie professionalità specifiche.
Che ne è del ruolo storico delle biblioteche, quello di preservare e archiviare le pubblicazioni?
Per quanto riguarda la preservazione, è emerso che le biblioteche universitarie in realtà non se ne occupano, ma delegano questo compito alla biblioteca nazionale, che però non copre tutte le tipologie: al di fuori delle pubblicazioni degli editori e le tesi di dottorato non archivia. L’Università Cattolica e l’Istituto Universitario Europeo sono poi le uniche biblioteche ad avere una politica di archiviazione a lungo termine, per questo hanno aderito a Clockss. Un servizio da organizzare su larga scala dovrà permettere di dare uno statuto anche alla letteratura grigia contenuta nei diversi depositi istituzionali, ma la green road, la via dell’autoarchiviazione, è solo all’inizio. Infine, la questione delle collezioni patrimoniali digitali : ce ne sono poche perché è stata fatta poca digitalizzazione, mentre all’editoria nativamente digitale non c’è accesso. Le biblioteche digitali intese come digitalizzazione nelle università italiane sono irrilevanti, quello che è collezione lo è per l’accesso, con licenza d’uso, e quasi l’80% è assorbito da abbonamenti.
Si dovrebbero immaginare ora dei corsi specifici per i nuovi bibliotecari o prevedere l’aggiornamento dei corsi che già esistono?
Direi che vanno rivisti i corsi. Personalmente lo faccio da dieci anni con il master Digital Library Learning (DILL), che è internazionale, ma ci sono molti altri corsi di editoria digitale. Certo, la discussione è aperta e l’AIB ha ancora molto lavoro davanti a sé per seguire un’evoluzione che non è solo tecnologica, ma anche organizzativa, politica ed economica, per riprendere le dimensioni dell’Open Access citate da Costantino Thanos all’incontro di Firenze. Il ruolo dei bibliotecari potrebbe essere quello di prendere in considerazione in particolar modo anche un’altra evoluzione, quella semantica, che riguarda i metadati ma anche i linked data, che migliorano l’accesso per materia: è il web 3.0, la via verso un accesso semiautomatico ai contenuti che sia calcolato sui centri di interesse dell’utente.