Incontrando le biblioteche a Firenze: accesso aperto al futuro
Un incontro positivo dal punto di vista umano e professionale, crocevia di nuovi incontri e test di un’esperienza ancora nuova per le biblioteche italiane, il convegno organizzato dall’Associazione Italiana Biblioteche a Firenze, lo scorso 25 marzo, ha lasciato un segno positivo tra i partecipanti e la voglia di continuare il cammino fin qui intrapreso.
L’idea di ritrovarsi attorno ad un tavolo era nata nel novembre 2013, quando Anna Maria Tammaro, vice-presidente della Sezione Toscana dell’AIB e impegnata per la diffusione di una cultura Open Access tra i bibliotecari, ha incontrato Daša Radovič e Jean-Christophe Peyssard di OpenEdition, in occasione del 58° Congresso nazionale dell’AIB del 28-29 novembre 2013. Incontro avvenuto subito dopo che l’AIB, a settembre, era arrivata a definire con chiarezza il ruolo che le biblioteche dovrebbero avere nel ciclo editoriale di una pubblicazione ((Alcune delle riflessioni che hanno preceduto l’incontro, si possono ritrovare nell’annuncio del convegno pubblicato sul blog di Anna Maria Tammaro, che si chiede come mai nelle biblioteche universitarie non si trovano tutte le pubblicazioni dei docenti della stessa università, né le bibliografie dettagliate di quello che questi stessi docenti hanno prodotto. Secondo Tammaro «le piattaforme per l’Open Access (OA) possono rivestire uno scopo bibliometrico e facilitare la peer review, migliorando la disseminazione ed il feedback sulle pubblicazioni scientifiche».)). L’idea è dunque venuta da sé: perché non far testare i servizi di OpenEdition ad alcune biblioteche italiane campione?
Si è scelta dunque una metodologia comune, una griglia di valutazione, e le cinque università che avrebbero provato OpenEdition per tre mesi: l’Università degli Studi di Torino, l’Università Cattolica di Milano, l’Università “Federico II” di Napoli, l’Università degli Studi di Firenze e l’Istituto Universitario Europeo. Le biblioteche aderenti al test, per tutta la sua durata, hanno la possibilità di offrire ai propri utenti l’accesso alle 110 riviste del pacchetto Freemium proposto da OpenEdition e a 54 libri della piattaforma OpenEdition Books.
Il primo scopo dell’incontro è stato certamente informativo perché, come ricorda Tammaro, non ci troviamo più in una fase preliminare in cui si discute di autopubblicazione o di pre-print, ma siamo in una fase nuova in cui si parla di pubblicare in Open Access: «in questo senso e come ha sottolineato Roberto delle Donne, presidente della commissione Open Access della Crui, i temi proposti all’incontro, come comprensione del problema, sono più avanti dello stato del dibattito in Italia». Le numerose domande della sala, che ha visto la partecipazione di un’ottantina di persone tra bibliotecari, responsabili amministrativi, docenti e qualche studente, hanno confermato questo dato, e un risultato importante è stato proprio quello di spostare il dibattito sulle questioni della pubblicazione accademica e dell’accesso alle pubblicazioni.
Per presentare i primi risultati del test sono intervenuti Tessa Piazzini, bibliotecaria alla Biblioteca Biomedica dell’Università di Firenze e membro della Commissione Open Access della Crui, che ha riportato le prime impressioni della Biblioteca Umanistica dell’Università di Firenze, che vede l’OA come un argomento strategico; Martine Daalder, responsabile delle risorse elettroniche e delle acquisizioni dell’Istituto Universitario Europeo; Paolo Sirito, della Biblioteca d’Ateneo dell’Università Cattolica di Milano, che ha sottolineato come sia importante capire la filosofia che sottende i diversi approcci all’Open Access, spunto che sarà ripreso nel pomeriggio anche da Costantino Thanos, dell’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione (ISTI) del CNR. Anna Maria Tammaro ha infine proposto uno schema riassuntivo dei primi risultati, in cui si possono notare, a fianco delle impressioni positive sulla qualità dei contenuti, le modalità di ricerca, l’assenza di DRM, i prezzi, la possibilità delle statistiche, anche i punti su cui lavorare con più intensità nel futuro, come ad esempio una maggiore presenza di contenuti internazionali e interdisciplinari e un miglioramento dei cataloghi.
Nel pomeriggio, la tavola rotonda che ha riunito rappresentanti della piccola e grande editoria, dell’editoria universitaria, delle biblioteche e dei ricercatori, coordinata da Roberto delle Donne, ha visto la partecipazione di Giovanni Mari, già presidente di Firenze University Press, Lorenzo Armando per Accademia University Press, Michele Casalini, amministratore delegato di Casalini Libri, Costantino Thanos, Elena Giglia, responsabile dei progetti Open Access dell’Università di Torino e, per OpenEdition, Jean-Christophe Peyssard, responsabile del polo Freemium.
Usando i termini del dibattito corrente, si potrebbe dire che i “piccoli” editori vedono nell’Open Access una strategia di sopravvivenza, mentre tra i “grandi” ognuno si attrezza per avere una propria piattaforma in Open Access per usarla come via promozionale per far conoscere la propria offerta. Ma, ancora una volta, l’incontro di Firenze è stata l’occasione per mettere in luce la necessità di aggiornare i termini stessi del problema e andare oltre opposizioni di principio che non tengano conto delle nuove esigenze dell’editoria accademica.
Certo, la legge 112 del 7 ottobre 2013 ora impone di prendere di petto la questione dell’Open Access, ma è chiaro per tutti che non ci si può esimere dalla comprensione della portata di questi cambiamenti per la preservazione e la conservazione dei contenuti delle scienze umane e sociali a lungo termine: per Giovanni Mari serve quindi sviluppare una «società dell’accesso».
In questo senso, Costantino Thanos ha riassunto le quattro dimensioni, politica, economica, tecnologica e giuridica dell’Open Access, sottolineando anche i cambiamenti che già sono effettivi nelle modalità di ricerca documentaria: più interdisciplinarietà, più e-science, più dati, implicano dei nuovi modi di gestione di queste informazioni. Ancora una volta sarà la motivazione che sottende l’adesione all’Open Acces a fare la differenza, e i bibliotecari, per Anna Maria Tammaro, hanno in questo senso un ruolo di promozione importante ((Anna Maria Tammaro, La Gold Road dell’Open Access in Italia: riflessioni dopo il seminario di Firenze)).
Elena Giglia, ha poi presentato il regolamento Open Access proposto all’Università di Torino ((L’Università degli Studi di Torino, attiva nello sviluppare la politica Open Access, ha messo a disposizione in questo senso AperTo, il suo archivio digitale istituzionale, e SIRIO@Unito.it, piattaforma destinata a ospitare le riviste accademiche online dell’università basata su OJS, programma Open Source per la gestione del flusso editoriale sviluppato dal Public Knowledge Project, partner di OpenEdition.)) che tra i principi pone anche una connessione tra pubblicazione in Accesso Aperto e valutazione interna dei ricercatori. Ma questo tipo di leve, ricorda Giglia, non sono sufficienti: servono altre occasioni di dialogo tra le istituzioni, gli editori, gli autori, le biblioteche, per capire quali sfide comuni restano da affrontare e quali strumenti è necessario sviluppare per gli editori. Senza dimenticare la necessità di ripensare i contratti. La pubblicazione è l’ultima tappa della ricerca, per questo è necessario pensare l’aspetto fondamentale della sua conservazione à lungo termine.
OpenEdition potrà fornire una soluzione già operativa per rispondere ai bisogni della comunicazione scientifica in Italia? Alla fine del periodo di test, l’AIB proporrà delle conclusioni generali e la sperimentazione potrà eventualmente continuare in altre biblioteche italiane.
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