L’Open Access all’università, tra entusiasmo e oltranzismo
Intervista con Elena Giglia, responsabile dei Progetti Open Access di Ateneo all’Università di Torino, dove lavora dal 1997 nel Sistema Bibliotecario di Ateneo. Cura l’Archivio Istituzionale AperTo e la piattaforma per la creazione di riviste online Open Access SIRIO@UNiTO. Dal 2012 fa parte dell’Osservatorio per la ricerca dell’Università di Torino. Fa parte del Gruppo di lavoro Open Access della CRUI e del Gruppo di lavoro Database e nuovi indicatori dell’ANVUR. Partecipa a workshop europei e convegni nazionali e internazionali sui temi dell’accesso aperto alla conoscenza e della valutazione della ricerca scientifica, su cui pubblica e tiene relazioni.
Qual è l’atteggiamento prevalente nel mondo universitario sull’accesso aperto?
Bisogna parlare di atteggiamenti prevalenti al plurale, perché la situazione è assai variegata e riflette differenze di età, di competenze informatiche, di area scientifico-disciplinare, di utilizzo dei canali di comunicazione tradizionali. Il dato di fondo è la scarsissima conoscenza sul tema dell’Open Access e la scarissima consapevolezza su quali siano i vantaggi in termini di visibilità e riconoscimento delle competenze. Quando la questione viene inquadrata correttamente, ci troviamo di fronte a:
– entusiasti: hanno colto le implicazioni anche etiche della logica Open Access, aderiscono depositando tutti i loro lavori, contattando personalmente gli editori, utilizzando gli Addenda ai contratti, ecc.
– utilitaristi: aderiscono attirati dal possibile incremento di citazioni
– rassegnati: aderiscono senza coglierne il senso, per dovere, quindi si irritano facilmente di fronte a ogni difficoltà della procedura
– oltranzisti: non vogliono capire, restano fermi sulle loro posizioni contrarie a priori, cercano ogni pretesto per non adempiere alle procedure.
Per fortuna questi ultimi sono una minima parte…
Resta da notare che nelle aree delle scienze umane e sociali, in cui forse la carenza di banche dati e strumenti online gioca un ruolo determinante, si riscontrano con maggior frequenza i due estremi: gli entusiasti che hanno colto le opportunità (a Torino sono la maggioranza, come provano le dieci riviste open access nate negli ultimi due anni) e gli oltranzisti ancora legati alla carta, che vedono non solo l’Open Access ma complessivamente il web e l’online come un potenziale nemico.
Torino è stata la prima università italiana a predisporre un regolamento sul tema. Come è stato accolto?
Il Regolamento è stato votato in Consiglio di amministrazione e in Senato, e poi firmato dal Rettore. Inizialmente è passato un po’ sotto silenzio. In seguito ai seminari tenuti in tutti i dipartimenti, gli autori hanno colto l’importanza dei fondamenti del regolamento, che si basa sul principio per cui i risultati della ricerca finanziata con fondi pubblici devono essere pubblicamente disponibili. Per questo, una larga maggioranza ha capito la portata etica e lo ha accolto con convinzione. Resta poi una fascia che invece lo vede come l’ennesima imposizione burocratica e una minoranza che lo vede come una gabbia che ha imprigionato le istanze libertarie dell’Open Access. Confido che, a fronte del riscontro che sarà certamente molto positivo in termini di visibilità e citazioni, molti si renderanno conto che non si tratta solo di una imposizione ma di una grande opportunità. Una certa difficoltà oggettiva, che in certi casi può scoraggiare anche i meglio intenzionati, nasce dalle procedure di verifica e controllo. Non dimentichiamo che il nostro regolamento adotta il principio del self-archiving, quindi del deposito della versione consentita dall’editore.
Qual è l’elemento che risulta più difficile da far comprendere?
Le difficoltà maggiori nascono dalla questione della gestione dei diritti d’autore e dei relativi contratti di cessione. È difficile per esempio far capire che in presenza di contratto l’autore ha ceduto tutti i diritti e può depositare solo ciò che l’editore concede. Quanto agli strumenti, molti autori, soprattutto nell’area scientifica, non sono a conoscenza del fatto che gli editori internazionali abbiano dichiarato le loro politiche di deposito nella banca dati Sherpa Romeo, e si stupiscono positivamente del fatto che oltre il 70% consenta qualche forma di deposito.