Open Science per lo sviluppo | #SalTo30
L’incontro Open Science per lo sviluppo fa parte del ricco programma organizzato dall’Università di Torino Talking about: la scienza per capire il mondo, e ha visto confrontarsi Elena Giglia (Responsabile Ufficio Accesso Aperto ed Editoria Elettronica presso l’Università di Torino) e Mario Calderini (Politecnico di Milano, responsabile del G7 della scienza che si terrà a Torino il 28 e il 29 settembre). Il tema dell’Open Science viene declinato secondo diverse vie: la diffusione della ricerca in un rapporto con l’industria concepito non solo in termini di appartenenza al medesimo territorio, maggiori incentivi in favore della collaborazione piuttosto che della competizione e l’aspetto interdisciplinare.
A partire da un quadro che dipinge l’Europa meridionale come segnata dalla difficoltà da parte dell’industria a restituire il valore generato dalla ricerca alla società, a causa della sua scomparsa o della sua incapacità di produrre in modo innovativo, quanto può contribuire l’Open Science ad aumentare la massa critica della scienza?
Secondo Elena Giglia, il problema va rintracciato nella chiusura della ricerca all’interno dell’università, confinata in riviste con costi di abbonamento non sostenibili per le piccole e medie imprese, i professionisti non hanno accesso ai risultati della ricerca. Dal momento in cui la ricerca viene sostenuta da finanziamenti pubblici, alla società deve tornare il frutto del suo investimento. In questo senso il commissario europeo Ismail Moadesh ha comunicato l’iniziativa di finanziare alcuni temi fondamentali di ricerca proprio al fine di creare una massa critica di conoscenza. Open Science indica un’apertura tanto geografica quanto interdisciplinare, penalizzata dagli attuali criteri di valutazione della ricerca, che andrebbero modificati per incentivare la collaborazione attraverso un’aperta condivisione di dati piuttosto che un approccio competitivo e orientato alla produzione chiusa. Secondo Giglia, nel caso dell’accesso aperto, si tratta di un tema che non è ancora maturo, mentre la politica dovrebbe concentrarsi sull’Open Science nei termini di una visione strategica di lungo respiro che consenta di svilupparne le potenzialità.
L’Open Science richiede più collaborazione che competizione, non solo, secondo Mario Calderini, nella direzione di una democratizzazione dell’accesso alla conoscenza, ma anche nell’incentivare politiche che diversamente dalle derive legate alla performance bibliometrica sappiano trovare un giusto equilibrio tra incentivi ai ricercatori e diffusione della conoscenza. Calderini inoltre sottolinea come non sia più utile ragionare su scala regionale, non si possono più immaginare nessi di causalità troppo stretti e troppo territoriali tra ricerca e industria, spesso ciò che si elabora in un luogo può essere utile a qualcuno che si trova al di fuori di quel territorio. Tuttavia si deve fare attenzione a non caricare l’Open Science di tutta la responsabilità dello sviluppo industriale, in alcuni casi è lo stesso sistema industriale a non essere pronto.
La riflessione sull’Open Science, che costituirà una delle linee guida del G7, acquisisce anche una nuova complessità perché il tema sta diventando molto più vasto del semplice rapporto tra privato (industria) e pubblico (ricerca), esistono forme ibride e finanziatori privati. In questo senso sta anche cambiando il ruolo dello Stato che comincia a rintracciare le risorse tecnologiche, così come deve cambiare il modello stesso di sviluppo, che non può più limitarsi a sfruttare la ricerca, ma deve mettere in campo una strategia di incentivi per ampliare la domanda di conoscenza: è questa infatti a trainare la qualità dell’offerta.