Editoria universitaria ad accesso aperto | #SalTo30
Le University Press sono una soluzione da estendere ad ogni ateneo? Come i diversi attori si rapportano al digitale? Come si può sostenere l’accesso aperto? Come trova collocazione in questo contesto il ruolo dell’editore? L’incontro che si è tenuto il 19 maggio scorso, organizzato dall’Università di Torino nel suo spazio Open Science al Salone del libro di Torino, moderato da Maria Cassella (Università di Torino, autrice di Open Access e comunicazione scientifica, Editrice Bibliografica, 2012), è stato un momento di confronto tra diverse esperienze legate all’editoria universitaria ad accesso aperto.
Annamaria Tammaro (Università di Parma, coordinatrice del Master Internazionale “Digital Libraries Learning”) ha raccontato l’esperienza della prima University Press italiana da lei ideata presso l’Università di Firenze: la Firenze University Press (FUP). Un’iniziativa che ha consentito di contenere i costi di pubblicazione, una gestione delle pubblicazioni più agevole tramite il print on demand e che grazie all’introduzione del digitale ha reso più semplice e veloce il rapporto con il lettore. Nonostante i benefici ottenuti, si evidenziano tuttavia delle difficoltà individuate nella lentezza del cambiamento culturale in cui sono coinvolti i diversi attori. Se gli utenti infatti, come emerge da una ricerca condotta dall’università, si dichiarano favorevoli all’accesso aperto, non è così per gli autori. Nonostante sia possibile rilevare un importante cambiamento nell’approccio al digitale, non più percepito come un sottoprodotto, rimane tuttavia forte uno scoglio culturale legato al sistema di reclutamento dei ricercatori che penalizza l’accesso aperto, anche se esperienze europee come OpenEdition aiutano ad eliminare la difficoltà legata alla qualità che in molti casi frena gli autori.
Tammaro rileva, tra le difficoltà legate alla digitalizzazione e all’accesso aperto, il fatto che questo processo non sia stato accompagnato da formazioni negli ambiti editoriali. Il rapporto con il mondo editoriale, ciò nonostante, è stato fondamentale anche per l’esperienza di Firenze, soprattutto ai suoi inizi. Ciò che si chiede all’editore è un supporto finalizzato alle strategie messe in campo dall’università. Tra le potenzialità di un’editoria universitaria, Tammaro individua invece l’uso dell’accesso aperto, inteso come una capacità di abbattere barriere, e l’Open Science, intesa come collaborazione e interdisciplinarietà. Potenzialità che comportano non solo un ripensamento delle griglie disciplinari, ma anche una diversa modalità di concepire le modalità di produzione del sapere e della ricerca e un rinnovamento della valutazione che includa tutto il ciclo della ricerca – compresi i momenti in cui viene testata e discussa, ad esempio sui blog – e non soltanto i suoi “prodotti”.
Francesco Costamagna (docente al dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino) ha invece spiegato la recente scelta del dipartimento di giurisprudenza di pubblicare in accesso aperto due delle sue collane, forti del fatto che si tratta di progetti possibili grazie a finanziamenti pubblici. Questo tipo di scelta ha incontrato in alcuni casi il timore che queste pubblicazioni fossero percepite come meno valide, un timore infondato dal momento in cui è il comitato scientifico che ne garantisce la qualità. La scelta di pubblicare in accesso aperto diventa una scelta coraggiosa soprattutto nei dipartimenti soggetti a valutazione bibliometrica, nel caso di giurisprudenza invece non c’è nessun cambiamento effettivo. Costamagna individua infatti il vero nodo del problema nella distinzione tra dipartimenti bibliometrici e non, nel caso dei primi la scelta dell’editore ha un peso molto significativo. Il prodotto della ricerca andrebbe valutato per il suo contenuto e non in base al suo contenitore, e questo è l’unico modo per continuare a garantirne la qualità.
Dal punto di vista di un editore, secondo Lorenzo Armando (Lexis Compagnia Editoriale in Torino, partner editoriale di OpenEdition per l’Italia) a frenare l’accesso aperto è la scarsa chiarezza delle politiche di governance dell’università. Il panorama italiano si presenta infatti come estremamente variegato e questo comporta l’impossibilità di fornire delle risposte univoche per andare incontro alle diverse esigenze nei diversi contesti. Un ragionamento applicabile anche alle University Press, che vanno considerate in relazione ai diversi settori (didattica, ricerca, riviste…) e rispetto alle quali non è ancora emerso un modello univoco. Anche le resistenze poste dagli autori alla pubblicazione in accesso aperto, in questa prospettiva, sono spesso una conseguenza della mancanza di chiarezza delle politiche universitarie. In particolare per quanto riguarda la ricerca, aver legato l’accesso aperto alla valutazione della ricerca, così com’è attualmente concepita, ha avuto l’effetto deleterio di generare posizioni contrarie all’accesso aperto perché critiche nei confronti della valutazione e dei suoi criteri meccanici. Il passaggio all’accesso aperto implica anche che si ragioni sulla sua sostenibilità e che in questo senso si trovino delle soluzioni, come il programma freemium proposto da OpenEdition, o le sottoscrizioni proposte da Knowledge Unlatched, per fare solo due esempi. Armando sottolinea inoltre come un corretto approccio nei confronti dell’accesso aperto dovrebbe coinvolgere anche la possibilità di tutelare la bibliodiversità cercando di arginare la deriva che porta a favori i grandi editori a scapito delle piccole e medie imprese editoriali.