L’Open Access e l’editoria accademica in Italia
Nell’ottobre del 2013, con la conversione in legge del decreto “Valore cultura”, ha trovato per la prima volta ufficialità in Italia il tema dell’accesso aperto (Open Access) alle pubblicazioni scientifiche ((Su ROARS – Returns on Academic ReSearch, è possibile leggere i passaggi chiave che nella legge si riferiscono all’Open Acces e il loro commento: cfr. Roberto Caso e Paola Galimberti, La legge italiana sull’accesso aperto agli articoli scientifici: l’inizio di un percorso normativo)).
Di accesso aperto discutevano da anni alcune realtà pionieristiche – per esempio il Nexa Center for Internet & Society del Politecnico di Torino, co-fondato e co-diretto da Juan Carlos de Martin, poi nominato nell’aprile 2013 “National Point of Reference” per l’Open Access per la della Commissione Europea – e risale al 2004 l’adesione delle università italiane alla Dichiarazione di Berlino, ma l’editoria restava relativamente impermeabile al dibattito. Anche la querelle internazionale scatenata nel 2012 dalla petizione contro la politica di Elsevier non ha avuto particolare risonanza in Italia. ((Per saperne di più sulla querelle potete ritrovare il sito della petizione e una spiegazione approfondita del perché è stata proposta, una prima risposta di Elsevier e una lettera aperta di Elsevier sui costi della pubblicazione scientifica))
La legge 112 ha invece costretto gli editori a prendere posizione. Tre soli commi (2, 3 e 4 dell’art. 4) che nella formulazione originaria hanno suscitato, l’estate scorsa, una dura reazione da parte del Gruppo Accademico Professionale dell’Associazione Italiana Editori, intervenuta direttamente sul ministero per ottenerne “una profonda modifica”, come spiegherà in una lettera del 22 ottobre ai propri associati. Il dibattito era ormai avviato, e poche settimane dopo sono state la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane e il Consiglio Universitario Nazionale a rilasciare una dichiarazione in cui si parla di “limitazioni non in linea con la Raccomandazione UE” del 17 luglio 2012 e “poco congruenti con l’intento di valorizzare i risultati della ricerca italiana”.
Nel frattempo gli atenei (Torino, Venezia, Trento…) cominciano a dotarsi di regolamenti specifici, chiedendo agli editori di dichiarare la loro politica sull’accesso aperto, e suscitando reazioni variegate: c’è chi si limita a rispondere “no” a tutte le richieste, chi prende tempo per cercare di capirne di più, chi subissa di richieste di chiarimento gli uffici preposti, qualcuno esclama “finalmente”… Il tema è ormai all’ordine del giorno, e oggi tocca agli editori scegliere se limitarsi a una politica di “contenimento del danno” presunto, o se reagire con atteggiamento propositivo cogliendo nell’accesso aperto (che la Commissione Europea ha scelto come principio generale di Horizon 2020, il programma quadro dell’UE per il finanziamento della ricerca e dell’innovazione per il periodo 2014-2020) un’opportunità e non una minaccia.