OpenEdition a fianco dell’editoria accademica nella transizione verso il digitale
Il Salone internazionale del Libro di Torino è stato per OpenEdition una grande occasione per toccare con mano la varietà e la qualità della produzione editoriale italiana, soprattutto quella dei piccoli editori che, facendo fede allo slogan scelto per l’edizione 2014 del Salone, erano “bene in vista” tra i padiglioni del LingottoFiere. E’ stato anche l’occasione per ribadire che la missione di OpenEdition, infrastruttura europea che promuove la pubblicazione online della ricerca accademica, è quella di accompagnare gli editori del settore delle scienze umane e sociali nella transizione verso il digitale.
Presente nello spazio Book to the future a fianco di 10 start-up digitali selezionate da un bando internazionale, OpenEdition ha avuto qui la possibilità di mostrare come, da 15 anni, si ponga a fianco degli editori per innovare l’editoria digitale: questo è possibile perché la sua piattaforma non è intesa come un semplice server e agli editori non viene proposta come un mero servizio. OpenEdition costituisce piuttosto uno spazio di scambio per sperimentare nuovi modi di diffondere la conoscenza nell’ecosistema digitale.
Tra gli editori italiani che hanno scelto di aderire a questa filosofia c’è Ledizioni: Nicola Cavalli, suo direttore editoriale, ha sottolineato alla tavola rotonda di domenica che se Ledizioni è stata tra le prime case editrici ad aderire ad OpenEdition Books, lo ha fatto proprio per poter sperimentare attivamente nuovi modelli editoriali percorribili.
I risultati della sperimentazione attiva e collaborazione tra i diversi attori dell’editoria accademica raggiunti da OpenEdition sono visibili nell’immediato anche per Mimesis Journal, rivista internazionale dell’Università di Torino dedicata al teatro: «Quando la nostra rivista trilingue sarà online su OpenEdition, uscirà istantaneamente in tutto il mondo – ha sottolineato il suo direttore Antonio Attisani – una piattaforma di questo tipo gioca un ruolo fondamentale perché testi di nicchia raggiungano anche chi non sa ancora della loro esistenza. È un po’ il ruolo che giocavano le librerie di una volta, un servizio ben diverso dai supermercati di oggi».
«Che editori, istituzioni e biblioteche lavorino insieme è un obbligo, se si vuole che il settore dell’editoria umanistica abbia più spazio possibile per influenzare e far crescere la società», ha sottolineato Pierre Mounier in questa stessa tavola rotonda che ha riunito Nicola Cavalli, Antonio Attisani, Ugo Rosenberg (Rosenberg & Sellier) e Elena Giglia, responsabile dei Progetti Open Access all’Università di Torino. «Da qualche anno – ha precisato Mounier – il lavoro collettivo che da secoli ricercatori, bibliotecari, editori e istituzioni hanno sviluppato, deve far fronte alla necessità, che la rivoluzione tecnologica impone, di rimodulare le modalità e le condizioni del lavoro editoriale che i diversi protagonisti svolgono insieme».
Se si lascia da parte l’opzione di inventare ciascuno, nel proprio angolo, una possibile soluzione e si opta per una ridefinizione comune delle nuove condizioni, qualunque sia la propria posizione di partenza, bisogna prendere atto anche che tavole rotonde, colloqui e seminari, per quanto importanti siano, non bastano. Serve sperimentare concretamente nuove vie – tecniche ed economiche, sulle interfacce e sui prodotti finiti – e una piattaforma come OpenEdition permette di farlo. Certo, servono anche e ancora tavole rotonde e seminari perché tutti siano a conoscenza delle sfide comuni che aspettano il mondo dell’editoria: l’incomprensione tra alcuni editori e il regolamento per l’Open Access dell’Università di Torino sottolineata da Rosenberg è un segnale chiaro di questa necessità.
Proprio il tema dell’Open Access è stato al centro della tavola rotonda di sabato in compagnia di Luisa Capelli e Michele Dantini, moderata da Letizia Sechi. Tavola rotonda in cui Pierre Mounier ha tenuto a ricordare che se si resta fermi ad un pensiero basato esclusivamente su opposizioni come aperto/chiuso, pubblico/privato, non si riesce ad entrare nel nuovo ecosistema digitale. Nella stessa ottica, Luisa Capelli ha ricordato come si sia al lavoro proprio con l’obbiettivo di creare un ecosistema digitale migliore: in questo senso, anche l’Open Access va pensato in una logica di sistema e non come un modello efficace a livello di singole aziende.
L’editoria accademica è un’editoria di servizio, di norma senza fini di lucro, che costituisce la metà del mercato editoriale, ha ricordato ancora Luisa Capelli, è un’editoria tendenzialmente rivolta alle stesse persone che la producono. Questa editoria è anche e spesso finanziata con fondi pubblici, così come finanziate con fondi pubblici sono le ricerche alla base di queste pubblicazioni, che per questo devono essere rese disponibili ai cittadini. Sulla scia di quanto detto da Elena Giglia domenica, si può immaginare allora che questo tipo di prodotti editoriali prenda vie di pubblicazione diverse dagli altri. Il problema da risolvere, come ha sottolineato Pierre Mounier, resta quello di tenere insieme un modello economico coerente alla vocazione che questa editoria ha di libera circolazione delle conoscenze con la visibilità dei contenuti nelle biblioteche, e il tutto senza tagliare fuori le professionalità editoriali che permettono di valorizzare e promuovere al meglio il sapere prodotto dentro le mura dell’accademia. Un problema che OpenEdition propone di risolvere applicando il modello Freemium all’editoria accademica nel settore delle discipline umanistiche e le scienze sociali. Il punto, ancora una volta, non è distruggere i metodi tradizionali, ma usare l’open web per reinventarli. Per riprendere un’espressione di Michele Dantini: «La ricerca dovrebbe colonizzare il web con le sue pratiche migliori».
Se OpenEdition punta sul modello Freemium, è per suggerire una via sostenibile che permetta di regolare le pratiche nel nuovo ecosistema, sapendo che la sfida è quella di aiutare i diversi mediatori, gli editori, le biblioteche e la rete degli universitari a lavorare insieme per creare un nuovo spazio editoriale regolato, che non significa necessariamente uno spazio chiuso. Un nuovo spazio che usi dei formati coerenti con l’obbiettivo, come ha sottolineato Luisa Capelli facendo notare che, per quanto riguarda ad esempio l’archiviazione dei dati, scegliere il formato pdf implica possibilità molto limitate per l’uso successivo dei documenti.
Del modello Freemium applicato all’editoria accademia si è parlato appunto venerdì, insieme a Marco Giacomello, avvocato specializzato nelle questioni del diritto d’autore, e Giuseppe Spezzano, CEO di Bookolico, in una tavola rotonda in cui Pierre Mounier ha spiegato come, coerentemente con la propria missione, OpenEdition non possa che optare per formati di diffusione aperti e senza DRM. Un lucchetto, quest’ultimo, che non solo è inefficace contro la pirateria, ma limita l’uso dei file da parte degli stessi proprietari, sia per quanto riguarda i dispositivi usati per leggere sia, e soprattutto, per quanto riguarda i tempi d’uso. Un problema, quest’ultimo, che tocca su vasta scala i servizi bibliotecari e la loro funzione di archiviazione perenne della conoscenza.
Insomma, se non c’è un modello economico valido per tutti, è centrale che ogni settore che si confronta con la necessità di svilupparne uno si concentri prima di tutto nel comprendere quali sono gli usi specifici dei diversi prodotti editoriali. Nel modello Freemium proposto da OpenEdition, quel che conta è rispondere all’esigenza primaria di editori ed autori: far sì che i libri vengano letti e che siano consultabili a lungo termine. Assicurate queste necessità di base, i servizi premium che vengono applicati ai testi permettono di far sì che il sistema diventi anche economicamente sostenibile.